Un altro errore degli informatici: l’azienda è il mio cliente

Molti informatici aziendali pensano di dover trattare l’azienda come un cliente; parlano di “clienti interni”, di “soddisfazione del cliente”. Non hanno tutti i torti, in fin dei conti ITIL, per dire, o la sua filiazione ISO20000 si basano esattamente sull’idea di rendere un “servizio” a un “cliente”.

Non c’è niente di male a vedere l’azienda come cliente della funzione IT; anzi, aiuta a porre correttamente l’attenzione sulla direzione da cui arrivano i soldi (sotto forma di budget ma anche di stipendi) che permettono all’IT di vivere. Ciò che rende questa linea di pensiero, apparentemente corretta, una fallacia, è che offre una visione capovolta del processo e delle responsabilità.

Tutti noi siamo clienti, e tutti noi sappiamo cosa vogliamo da un venditore:

  1. che ci ascolti
  2. che ci capisca
  3. che sia preparato
  4. e che non ci rompa le scatole.

Proprio perché tutti siamo clienti, è difficile accorgersi come l’idea che il cliente ha del venditore non ha riscontro in natura. Per i clienti, il venditore è quello che sta lì e aspetta che qualcuno voglia comprare, ma chiunque volesse portare avanti  un’attività commerciale secondo queste linee fallirebbe in pochi mesi.

Chi lavora nell’IT ha raramente competenze di vendita, e per questo il problema della fallacia “l’azienda è il mio cliente” è proprio il falso senso di sicurezza che induce in chi deriva la propria idea di venditore dalle proprie aspettative di cliente.

Occorre ribaltare la prospettiva: non è l’azienda ad essere cliente, è l’IT a vendere i propri servizi.

Proprio perché è vero che l’azienda è cliente del proprio IT, è importante ribaltare i termini della questione. Come in un processo di vendita reale, il venditore è tutt’altro che in passiva attesa dei clienti. Proprio come in un processo di vendita reale, oggi l’IT è chiamato a:

  1. definire i propri servizi (a listino e made-to-order)
  2. identificare i propri clienti (targeting)
  3. investigarne periodicamente i bisogni (analisi di mercato)
  4. proporre attivamente i propri servizi (marketing, pubblicità, visite commerciali)
  5. gestire tutte le fasi della pipeline (i diversi stati da “possibile esigenza” a “ordine”, per dirla in termini commerciali)
  6. evadere le richieste (gestione degli ordini)
  7. gestire il post-vendita (soddisfazione, contatti periodici, nuove esigenze).

Fino ad oggi l’IT ha operato in modalità esclusivamente reattiva, rispondendo alle richieste dell’azienda. Questo ha però avuto come conseguenza una visione dell’informatica come una funzione non-core, una parte non integrante dell’azienda. Non per nulla molte aziende non vedono niente di strano nell’esternalizzare tutta la funzione IT, mentre nessuna si sognerebbe di esternalizzare il proprio direttore amministrativo.

Fino a ieri un buon professionista IT ragionava in termini di

  • prodotti
  • tecnologia
  • autonomia
  • costi
  • rapida reattività
  • capacità tecnico-operative.

Oggi, deve imparare a ragionare rispettivamente in termini di:

  • soluzioni e servizi
  • azienda
  • gruppi di lavoro misti (IT+non-IT)
  • budget e SLA
  • proattività
  • capacità gestionali.

Non ci sono alternative, per un informatico aziendale, che diventare partecipe a tutti gli effetti alla gestione dell’azienda, al pari delle altre funzioni. Questo significherà certamente meno tempo ad occuparsi di tecnologia e più tempo ad occuparsi di “cose da manager”: rapporti interpersonali, politiche interne, report, riunioni, budget.

Come dice Marshall Goldsmith, “quello che ti ha portato fin qui non ti porterà oltre”: non significa dimenticare le proprie competenze, ma comprendere che non sono più sufficienti e che altre, perfino più complesse, le devono affiancare.

 

[Tratto dal blog di Walter Vannini]