Drogati di gratuità

Nella mia storia professionale ho sempre avuto un occhio di riguardo al software che ha costo che lo rende accessibile e una forma di licenza di ampie vedute. Mi piacciono i progetti, prodotti o le iniziative che abbracciano e esaltano lo scambio aperto, la partecipazione collaborativa, la prototipazione rapida, la trasparenza, la meritocrazia e lo sviluppo delle comunità.

Spesso utilizzo software con queste caratteristiche per i miei progetti: wordpress, Joomla!, mySQL, PHP,… Quello che vendo al cliente è la mia competenza, la capacità di risolvere un problema attraverso questi strumenti. Opero come un cuoco che con esperienza mette insieme ingredienti di qualità per proporre cibo di qualità.

Le motivazioni sono:

  • qualità: avere una comunità di sviluppo imparziale, vivace e votata all’innovazione è il modo migliore di scrivere codice di altà qualità.
  • libertà dal lock-in del vendor: la libertà al fine di ottenere maggior controllo e personalizzazione;
  • accesso al codice: quando le aziende hanno accesso al codice, possono facilmente integrare componenti, siano anch’essi open, oppure no
  • personalizzazione: posso facilmente concentrare su uno specifico codice la soluzione software per concretizzare requisiti specifici ed unici;
  • collaborazione: posso chiedere aiuto alla community su un particolare utilizzo, oppure su una funzione non ben documentata, in modo diretto e semplice

Parallelamente allo “sfruttamento” di queste tecnologie mi impegno a ricambiare attraverso la partecipazione ai forum, la partecipazione a qualche piccolo progetto, la trasmissione di questa passione agli studenti, nella speranza di veder crescere la condivisione del sapere e la meritocrazia, tenendo sempre presente l’etica professionale.

C’è un passaggio in cui trovo difficoltà è quello dove le aziende “spendono” per queste comunità. Tempo fa girava un tweet che diceva: tutti sono OPEN con il SOURCE degli altri.

Un caso: un’azienda molto attenta alla comunicazione usa diversi prodotti con licenze a costo zero per il suo core business: WordPress, Joomla!, xibo, moodle,…

A questa azienda propongo di “ricambiare la comunità” attraverso la partecipazione come sponsor ad una attività in ambito europeo. La partecipazione economica può variare ed essere anche di soli 300 euro.

Risultato: nessuna risposta (nonostante i solleciti).

Perchè? Mi è venuta alla mente una espressione utilizzata dal visionario Piergiorgio Borgogno durante un incontro: «Siamo drogati di gratuità.»

Come tutte le comunità di esseri umani, soprattutto quelle fondate da grandi valori (e l’open source è davvero un grande valore), ci sono posizioni diverse e, se è vero che la diversità è sempre una ricchezza, richiede tempo ed energie per comprendere appieno tutte le sfumature.

Oltre a quelle più formali, come la differenza tra il Free software (R. Stallman) e Open Source (Bruce Perens, Torvalds etc etc), ce n’è una molto più sostanziale: la gratuità!

Il principio della gratuità sotteso al software aperto è sostanzialmente molto semplice: il codice non è un prodotto, non si paga come tale. Questo non significa che lo sviluppatore non deve essere pagato, se vuole può contribuire gratuitamente, ma non gli si può chiedere di lavorare gratis.

Purtroppo invece questo è uno dei misunderstanding più diffusi.

Per un’indagine più a approfondita sull’argomento della gratuità, propongo 2 spunti di riflessione:

  1. Se vado su un sito che, per leggere delle notizie, mi chiede un euro, istintivamente vado a cercare da qualche altra parte le notizie, a prescinrede dall’autorevolezza del sito: questo spiega perchè le persone si informano più su facebook che sui siti dei quotidiani.
Ora, come è possibile che se compro un giornale in edicola non mi viene nemmeno in mente di volerlo gratis, e trovo normale dare un euro per avere questo servizio, mentre se la stessa cosa avviene su internet lo ritengo un furto?   2. Quando compro una casa spendo un sacco di soldi, diciamo 100 mila euro, per la casa vuota, poi per arredarla come piace a me comprerò della mobilia che si addice alle mie finanze e ai miei gusti, spendendo , diciamo un decimo del valore della casa, per poterla rendere vivibile.
  
Quando compro uno smartphone, ma anche un computer spendo diciamo 1000 Euro, poi per poter farci qualcosa di utile dovrei avere delle applicazioni, a seconda dei miei bisogni. Ma in questo caso, se un’App costa un euro o dieci Euro, sarò tentato a considerare un furto, e cercherò di trovare un’altra app, oppure di rubare quell’app perchè non ho nessuna intenzione di spendere nemmeno un centesimo del valore del telefono !!!

Queste due situazioni esprimono un sentimento che non riesco a definire in altro modo che “le persone in rete sono state drogare di gratuità”, a tal punto che, piuttosto che spendere un euro per qualcosa di utile, ne faccio a meno o trovo qualcosa di alternativo.

Il fenomeno delle app, ai suoi inizi, era un grande e bellissima opportunità per poter vivere del proprio lavoro in modo molto semplice, con le giuste competenze, un computer ed una connessione, anche un ragazzino avrebbe potuto vivere grazie al proprio lavora comodamente da casa propria e in molti casi è successo proprio quello.

Poi, via via che gli smartphone sono diventati più “popolari”, la selezione naturale delle app ha sempre più prediletto quelle gratuite a quelle a pagamento, portando la compulsiva esigenza del gratis a uccidere i piccoli sviluppatori indipendenti, che ovviamente non possono permettersi di lavorare gratis, in favore delle grandi aziende che possono fornire un app gratis in quando il loro business model può essere basato su altri sistemi (branding position, royalty e diritti d’autore, merchandising).

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